La stima del valore di tutti i resi globali effettuati nel 2020 è stata di 490 miliardi di euro.
È quanto emerge da un recente studio effettuato da Twenga, che ha operato un confronto tra le percentuali di ordini e resi dei Paesi Europei, sottolineando i diversi approcci degli acquirenti online del Vecchio Continente verso la restituzione della merce.
La nazione con gli utenti più propensi a far tornare indietro la merce ordinata è la Germania (53%), seguita da Olanda (52%), Francia (45%), Italia (43%), Spagna (43%), Gran Bretagna (40%), Belgio (38%) e Polonia (32%).
A confermare questo dati è il fatto che le politiche favorevoli di reso sono considerate l’elemento più importante per i consumatori italiani nella scelta di un e-commerce rispetto ad un altro (27%).
La maggior tendenza dei nord-europei a utilizzare in maniera così massiccia il servizio di reso dipende in buona parte dal più alto reddito pro-capite di quei Paesi.
Gli acquirenti, avendo più soldi a disposizione, sono più propensi a comprare d’impulso, salvo poi pentirsene.
Nei paesi del Sud e dell’Est Europa, invece, avendo a disposizione un reddito inferiore, si dedica più tempo a ricercare il prodotto adatto alle proprie esigenze.
Tra le categorie merceologiche dove è più frequente la pratica del reso in Italia, al primo posto troviamo il settore del fashion (10,9%), principalmente per questioni di taglia, ma anche per cambiamenti di gusto o per la diversa impressione una volta visto l’articolo dal vivo.
Questo settore è il primo per resi gestiti anche a livello europeo, ma con percentuali decisamente maggiori rispetto a quelle registrate nel nostro Paese.
Al primo posto in classifica, infatti, troviamo l’Olanda con il 28,4%, seguita dalla Germania con il 27,5%, e poi via via Gran Bretagna (19,9%), Francia (18,8%), Spagna (17,1%), Belgio (16%) e Polonia (13,4%).
Ad aumentare le percentuali di reso nel settore fashion retail contribuisce la sempre più diffusa usanza di ordinare tanti capi di abbigliamento uguali, ma di diversa taglia e colore, sapendo già di restituirli tutti tranne quelli selezionati dopo l’“unpacking”.
A tale fenomeno si aggiunge quello della moda dello shopping ad uso esclusivo delle foto da pubblicare sui social network, che genera un numero di resi pressoché totale.
Questo sistema è definito col termine inglese “wardrobing” e in certi casi può costituire addirittura una frode, tanto che diversi e-store di abbigliamento hanno deciso di combattere il problema rifiutando resi di merce che portano segno di essere stati indossati.
Dopo il fashion, tra le categorie merceologiche che annoverano più resi in Italia troviamo l’elettronica (7,5%), i libri (2,2%), i prodotti per bambini e neonati (2,1%), gli accessori auto (1,6%), gli articoli per lo sport ed il tempo libero (1,1%), gli articoli per la casa (0,6%), i DVD e i film in Blu-Ray (0,6%).
Tra le motivazioni addotte per la restituzione della merce, la più frequente è legata alla riconsegna di prodotti difettosi o danneggiati (59%).
Un fattore questo che non dipende da una scelta ex-post del consumatore, ma che in molti casi è dovuto ad un confezionamento non consono del prodotto o a cattive pratiche del corriere.
In altri casi, invece, i compratori rispediscono indietro un articolo perché lo trovano ad un prezzo più basso su un altro shop online o in un negozio fisico.
A seguire, tra le motivazioni di reso ci sono il cambio di idea (42%), un prodotto non conforme alla descrizione presente sull’e-commerce (29%), un errore nella spedizione da parte del venditore (23%), la scoperta di aver pagato costi nascosti e non dichiarati (22%) ed un servizio di tracciamento/post vendita non all’altezza delle aspettative (20%).
Un altro dato interessante è che le imprese ad avere un maggior tasso di resi sono le più grandi, quelle con oltre 100 impiegati (67%).
Sono dunque le stesse che, presumibilmente, possono gestire con più facilità questo gravoso aspetto del commercio online.
Probabilmente, essendo più chiare e lineari le loro procedure, i clienti si sentono più incentivati e più liberi nel considerare questa opzione.
Tuttavia, per quanto la gestione dei resi sia delicata e costosa, i clienti che restituiscono i prodotti non vanno visti dagli imprenditori online come una minaccia, ma bensì come un’opportunità.
Questo perché, l’82% di chi opera un reso è un cliente abituale, che acquista con una certa frequenza in un determinato shop online.
Inoltre, il 95% di chi è soddisfatto di una procedura di restituzione afferma che comprerà nuovamente da quel venditore, dandogli così la grande occasione per trovare e fidelizzare un nuovo cliente.
Dunque, secondo i dati forniti da Twenga, nei Paesi europei dove le percentuali di reso sono più elevate si può vedere che tutto il settore e-commerce è più avanzato per quanto riguarda il rapporto tra merchant e clienti finali.
La reputazione degli e-store tedeschi ed olandesi, per quanto riguarda la chiarezza delle politiche di reso, è senz’altro più alta di quelli italiani o britannici, e sono maggiori le occasioni di rafforzare il rapporto di fiducia col consumatore.
Servirebbe spesso un cambio di prospettiva nei confronti della gestione dei resi, rivedendo le policy e logistica del proprio sito e-commerce; ma si può anche intervenire con una cura maggiore nella realizzazione del sito o integrando un sistema che permetta una migliore gestione degli ordini e dei resi online.