Vendita all’estero: i numeri delle PMI italiane

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Secondo gli ultimi dati forniti da Statista, il 2020, complice la pandemia ed il blocco delle movimentazioni a livello internazionale per prevenire il contagio, ha registrato una diminuzione complessiva dell’export italiano del 9,7%.

Tuttavia, entro la fine del 2021, è prevista una crescita del 9,3% dove, si stima, saranno le aziende digitali e quelle in possesso di uno o più canali di vendita online ad avere un ruolo di grande rilevanza.

In generale, l’export italiano di beni e servizi oggi rappresenta circa il 37% del Pil nazionale e contribuisce ad un saldo positivo della bilancia commerciale di 48 miliardi di €, pari al 3,2% del Prodotto Interno Lordo.

Questi dati pongono l’Italia al 4° posto in tra le nazioni UE con il maggior volume di investimenti diretti all’estero (29,5%), preceduta solo dalla Francia (60%), dalla Spagna (48,5%) e dalla Germania (47%).

A fine 2020, le aziende digitali e non che vendono all’estero sono il 49%, mentre il 51% lo fa solo nel nostro Paese; un numero in deciso aumento, se si pensa che solo 12 mesi prima la percentuale era del 39%.

A determinare tale situazione è la convergenza di due fattori:

  1. le restrizioni in atto per il Coronavirus, che hanno giocato un ruolo decisivo portando tanti imprenditori a dedicarsi solo al mercato interno per rafforzare la propria posizione economica e di business con l’obiettivo di tornare all’estero con l’arrivo di “tempi migliori”

  2. il numero di nuove attività aperte, che è decisamente aumentato nell’ultimo anno, e che ha visto tali imprese, per il momento, concentrarsi solo sulle vendite nazionali, in attesa di crescere e strutturarsi per il grande passo internazionale

Spesso si è indotti erroneamente a pensare che l’export sia alla portata soltanto di imprese di grande dimensione, soprattutto se tali investimenti sono rivolti a mercati extra-europei. 

In realtà, nell’ultimo anno quasi il 60% delle imprese italiane che hanno scelto di esportare conta meno di 10 dipendenti, con tale percentuale che supera l’80% se si considerano anche le attività fino a 50 dipendenti.

Il 78% delle aziende italiane che vende all’estero lo fa disponendo di un sito e-commerce multilingua, il 12% ha una presenza estera basata principalmente sui marketplace, mentre il 10% si affida ad altri canali come il dropshipping e le piattaforme di vendita privata.

Il fatturato prodotto all’estero pesa in media per il 29% sul totale dei proventi generati dalle PMI nostrane e, nel 2020, si segnala che le vendite sono aumentate per il 50% delle aziende impegnate nel commercio transnazionale, sono rimaste stabili per il 40% mentre sono diminuite per il 10%.

Tra i settori che hanno visto la crescita maggiore del proprio volume d’affari all’estero, abbiamo al primo posto l’elettronica, seguito dagli alimentari e dalla moda.

Sono diversi gli esempi di realtà italiana che hanno avuto successo all’estero nell’ultimo anno.

La promozione di prodotti Made In Italy premium, soprattutto in determinati mercati, ha fatto da apripista alle nostre PMI.

Tuttavia, gli ottimi risultati raggiunti sono stati perseguiti abbracciando una precisa strategia commerciale basata su

  • la fidelizzazione dei clienti, con interventi volti a migliorare la customer journey dei consumatori (37%)
  • l’attenzione al consumatore, con un occhio di riguardo al servizio clienti (21%)
  • l’alto livello di consegna e di packaging, attraverso importanti investimenti nella logistica per offrire un servizio sempre puntuale (19%)
  • il ricorso a strumenti di advertising online, in particolare sui social media come Facebook, Instagram e TikTok (16%)

Infine, le nostre imprese esportatrici che operano in un solo mercato corrispondono a circa il 42% del totale; se, invece, si considerano quelle che esportano in due mercati, la percentuale arriva oltre al 50%

Rispetto allo scorso anno, non ci sono grandi variazioni per quanto riguarda la distribuzione dei mercati di vendita. 

Le aziende italiane che fanno business all’estero sono presenti per lo più in Europa; in particolare, il 19% in Francia, il 18% in Spagna, il 17% Germania, il 13% nel Regno Unito, l’11% in Scandinavia (Finlandia/Danimarca/Svezia), il 10% in Svizzera ed il 3% in Russia e nei Paesi Balcani.

Nel mondo, invece, la presenza maggiore si registra negli USA (9%), in Australia e Nuova Zelanda (5%) in Giappone (4%), in Cina (2%), in India ed in America Latina (1%).

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